Il caso Molnupiravir e le nuove varianti di SARS-Co-V2

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XX – 11 febbraio 2023.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: AGGIORNAMENTO/DIBATTITO]

 

Il Molnupiravir è stato il primo farmaco antivirale orale approvato per il trattamento della malattia da SARS-CoV-2 nel Regno Unito di Gran Bretagna e negli Stati Uniti d’America verso la fine del 2021, e poi in decine di altri paesi, fra cui l’Italia, dove è commercializzato come Lagevrio, una preparazione in capsule disponibile dal gennaio 2022. Esistono altri farmaci o specialità farmaceutiche diffusamente prescritti in questa pandemia, come il Remdesivir[1] e il Paxlovid[2]

Nuovi studi stanno alimentando la preoccupazione che il Molnupiravir consenta lo sviluppo di nuove varianti di SARS-CoV-2 più resistenti e pericolose e, di fatto, stia peggiorando l’andamento della pandemia di COVID-19. I nuovi risultati sono oggetto di riflessione e dibattito in molte sedi in tutto il mondo. Il farmaco, prodotto da Merck & Co., è concepito per uccidere il virus inducendo mutazioni nel genoma virale ma, come riportato su Science online da Robert F. Service, una revisione di genomi virali suggerisce che alcune persone trattate con questo antivirale generino nuove varianti di SARS-CoV-2 che, non solo rimangono vitali nell’organismo, ma si diffondono rapidamente.

In proposito William Haseltine, un virologo che presiede la ACCESS Health International e ha ripetutamente espresso dubbi sull’impiego di questa molecola contro il coronavirus pandemico, ha dichiarato che è chiarissimo che virus vitali mutanti sopravvivono a questo trattamento e competono con le varianti esistenti, concludendo: “I think we are courting disaster[3]. Ma un portavoce della Merck sostiene che sia ancora da dimostrare che il farmaco abbia causato l’emergere di varianti circolanti in tutto il mondo, e alcuni ricercatori hanno ridimensionato l’allarme, non condividendo la previsione catastrofica di Haseltine.

Al riguardo, l’opinione più ottimistica raccolta da Robert Service è quella del chimico farmaceutico della Emory University School of Medicine Raymond Schinazi: “Per ora, è tanto rumore per nulla”[4]. Il titolo della commedia di Shakespeare, Schinazi lo giustifica notando che il tasso vertiginoso di sviluppo spontaneo delle varianti di SARS-CoV-2 in tutto il mondo rende irrilevante la quota che si ritiene possa provenire dal trattamento con Molnupiravir.

La verifica sperimentale rimane problematica, sia per la definizione dei campioni sia per l’interpretazione dei risultati. Consideriamo un ipotetico piano di verifica nazionale della potenziale responsabilità nel promuovere lo sviluppo di varianti, in cui si chieda a tutti i medici che abbiamo prescritto il Molnupiravir di fornire una lista dei pazienti trattati e di proporre loro la partecipazione allo studio: quali sono gli intervalli temporali significativi e quali sono i criteri diacritici per riconoscere le varianti causate dal farmaco e distinguerle da quelle generate per mutazioni spontanee? Un paziente può essere stato sottoposto al trattamento, può aver sviluppato varianti e averle inconsapevolmente trasmesse e poi averle eliminate dal proprio corpo, risultando negativo al tampone dopo un tempo non lungo dalla fine del trattamento. Per superare molti di questi problemi è necessario definire con buona approssimazione gli intervalli temporali di significatività e il range di probabilità dei criteri adottati per riconoscere le varianti. Cose entrambe non facili.

L’utilità e l’efficacia dei farmaci anti-SARS-CoV-2 contro le varianti, d’altra parte, non è da sottovalutare, come è stato evidenziato da uno studio condotto da Valentina Mazzotta, Andrea Antinori e numerosi colleghi del Lazzaro Spallanzani di Roma in collaborazione con il centro di ricerca clinica ed epidemiologica britannica CREME di Londra. L’indagine, condotta su 521 pazienti (378 SARS-CoV-2 BA.1 e 143 BA.2) ha stimato gli effetti sulla riduzione del carico virale (VL), rilevando che il Molnupiravir era superiore al Remdesivir sia per BA.1 che per BA.2, e superiore all’anticorpo monoclonale Sotrovimab per BA.2. Il Sotrovimab aveva una migliore attività del Remdesivir solo contro BA.1. Il Nirmatrelvir/Ritonavir[5] ha mostrato la più grande attività antivirale contro le varianti Omicron, comparabile al Molnupiravir soltanto per il sotto-gruppo BA.2.

William Haseltine, fin dall’inizio della sperimentazione, ha espresso preoccupazioni circa il meccanismo d’azione del Molnupiravir basato sull’introduzione nel genoma del virus di mutazioni che precludono la riproduzione. Le preoccupazioni di Haseltine sono state fatte proprie da numerosi altri virologi nei cinque continenti. Il primo timore è che il farmaco possa indurre mutazioni non solo nell’RNA del coronavirus ma anche nel DNA del paziente; in proposito è opportuno precisare che questo pericoloso effetto indesiderato non è stato finora rilevato. Il secondo timore è che il virus mutato possa sopravvivere e propagarsi diventando più trasmissibile e virulento del ceppo infettante l’ospite. Una misura di quanto sia fondata questa possibilità è data dal fatto che anche microbiologi favorevoli all’uso clinico della molecola non l’hanno esclusa e, soprattutto, prima dell’approvazione da parte della FDA, un responsabile della Merck l’ha definita “un’interessante preoccupazione ipotetica”[6].

Il tipo di mutazioni che si ritiene possano essere causate dal Molnupiravir sono oggetto di osservazione da parte dei ricercatori, che paragonano le scansioni ottenute nei propri laboratori con le sequenze del genoma di SARS-CoV-2 depositate nella banca dati GSAID. A quanto pare, piuttosto che indurre cambiamenti casuali nel genoma virale (RNA), il farmaco sembra determinare specifiche sostituzioni nelle basi azotate, come la conversione G-A (guanina - adenina) o C-U (citosina - uracile).

Ryan Hisner, un “virus hunter” docente di matematica a Monroe, nell’Indiana, ha catalogato, a partire dal mese di agosto 2022, varianti sospette, identificando numerose sequenze che mostrano blocchi di sostituzioni simili a quelle che abbiamo indicato e ritenute potenzialmente caratteristiche. Hisner ha manifestato le sue preoccupazioni alla comunità scientifica internazionale attraverso Twitter ottenendo, alla fine, considerazione da parte di Thomas Peacock, virologo dell’Imperial College London. Peacock, Hisner e vari altri colleghi hanno insieme rivisto più di 13 milioni di sequenze di SARS-CoV-2 in GISAID e analizzato quelle con blocchi di più di 20 mutazioni. In una AOP (advance online publication) apparsa lo scorso 27 gennaio 2023 hanno riportato che un grande sotto-insieme presentava le sostituzioni “contrassegno”, e tutti quei genomi erano del 2022, ossia quando il Molnupiravir era massicciamente prescritto.

In particolare, questi blocchi di mutazioni distintive, erano fino a 100 volte più frequenti nei paesi in cui il Molnupiravir è ampiamente prescritto e assunto, come USA, Australia e Gran Bretagna, rispetto a paesi quali Francia e Canada dove il farmaco non è ancora entrato nella routine terapeutica. Tracciando le date e le localizzazioni delle sequenze è risultato evidente che alcuni dei ceppi mutati si stanno diffondendo nelle comunità osservate.

Tra i ricercatori impegnati in questo studio, il genetista Theo Sanderson del Francis Crick Institute ha precisato alla rivista Science che non è chiaro se i cambiamenti stiano portando o porteranno a varianti più patogene o più trasmissibili: “Non siamo giunti a una conclusione circa il rischio”[7]. Ma Haseltine, di rimando, paragona questo atteggiamento basato sul non pronunciarsi prima che il disastro sia conclamato, al prendere un leone come animale domestico: “Se non ti ha sbranato ieri, questo non vuol dire che non ti sbranerà oggi”. In altre parole, abbiamo i dati che ci dicono che si tratti di un “leone”, non è saggio non fare nulla finché non ti sbrana.

Per conto della Merck, una portavoce di cui Service non riferisce l’identità ha dichiarato: “Non c’è evidenza che un qualche agente antivirale abbia contribuito all’emergere delle varianti virali circolanti”[8].

Ma due nuovi studi, anticipati online e non ancora pubblicati in versione cartacea, potrebbero far cambiare alcune delle opinioni e dichiarazioni che abbiamo riportato.

Il primo dei due studi, condotto da Nicholas M. Fountain-Jones e colleghi, ha reperito evidenze in Australia che il trattamento con Molnupiravir può portare a nuove varianti in pazienti immunocompromessi. In quanto il sistema immunitario di tali persone ha difficoltà a neutralizzare il virus consentendone l’eliminazione, le varianti virali hanno modo di sviluppare un grande numero di mutazioni, verosimilmente causando grossi salti nel comportamento virale, che possono poi essere trasferiti ad altri[9].

Sequenziando ripetutamente i genomi di SARS-CoV-2 provenienti da 9 pazienti (5 trattati con Molnupiravir e 4 non trattati col farmaco), i ricercatori hanno rilevato che i 5 trattati, entro 10 giorni dalla dose iniziale, ospitavano una media di 30 nuove varianti ciascuno, mentre i 4 non trattati presentavano un numero di varianti molto basso. In particolare, è stato rilevato un gran numero di mutazioni di bassa frequenza, che potevano persistere e, in alcuni casi, erano fissate nella popolazione virale. Tutti i pazienti trattati con il farmaco maturavano nuove mutazioni nella proteina spike del virus, incluse mutazioni non sinonimiche che alteravano la sequenza aminoacidica.

Nicholas M. Fountain-Jones e colleghi concludono: “Il nostro studio dimostra che questo antivirale comunemente usato può super-caricare l’evoluzione virale nei pazienti immunocompromessi, potenzialmente generando nuove varianti e prolungando la pandemia”[10].

Il secondo studio apparso su The Lancet il 28 gennaio scorso suggerisce che, almeno tra le persone che sono state vaccinate, i benefici del Molnupiravir sono molto limitati. Sono stati tracciati 26.411 partecipanti vaccinati, a circa metà dei quali è stato somministrato il farmaco nel trial clinico del Regno Unito detto PANORAMIC. I ricercatori hanno rilevato che l’antivirale riduceva la gravità dei sintomi e riduceva i tempi di guarigione dei pazienti, ma non riduceva né la frequenza delle ospedalizzazioni associate alla COVID-19 né il numero di morti tra gli adulti ad alto rischio[11].

Concludiamo con il parere di Ravindra Gupta, microbiologo clinico dell’Università di Cambridge che ha letto entrambi gli studi: “Presi insieme, questi risultati a buon diritto pongono in questione se il Molnupiravir deve essere usato”[12]. Gupta saggiamente nota che i limitati benefici del farmaco non giustificano più l’esposizione al rischio.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-11 febbraio 2023

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Il Remdesivir è un antivirale della classe degli analoghi nucleotidici sviluppato inizialmente (Gilead Sciences) contro il virus Ebola e il virus Marburg, agenti eziologici di due gravi forme di febbre emorragica. Si è poi rilevata una sua estesa attività anti-virus a RNA a singolo filamento, compresi i coronavirus di MERS e SARS.

[2] Il Paxlovid, autorizzato nell’Unione Europea dal 28 gennaio 2022 per il trattamento della COVID-19, è costituito da due principi attivi: il Nirmatrelvir (PF-07321332) e il Ritonavir. Il primo inibisce delle proteasi necessarie alla replicazione di SARS-CoV-2 e il secondo inibisce il citocromo P3A, prolungando l’azione del primo.

[3] Robert F. Service, Could a popular COVID-19 antiviral supercharge the pandemic? Science – AOP doi: 10.1126/science.adg9677, Feb 2023.

[4] In inglese: Much ado about nothing, proprio come il titolo shakespeariano.

[5] Conosciuto come Paxlovid (vedi nota 2).

[6] Robert F. Service, art. cit. (vedi nota 3).

[7] Robert F. Service, art. cit. (vedi nota 3).

[8] Robert F. Service, art. cit. (vedi nota 3).

[9] Gli autori dello studio avanzano l’ipotesi che le varianti Omicron di SARS-CoV-2 si siano evolute naturalmente nei pazienti immunocompromessi.

[10] Fountain-Jones N. M. et al., Antiviral treatments lead to the rapid accrual of hundreds of SARS-CoV-2 mutations in immunocompromised patients. medRxiv (Cold Spring Harbor Laboratory, BMJ, Yale) – preprint – doi: 10.1101/2022.12.21.22283811, 2023.

[11] Butler C. C., et al., Molnupiravir plus usual care versus usual care alone as early treatment for adults with COVID-19 at increased risk of adverse outcomes (PANORAMIC): an open-label, platform-adaptive randomized controlled trial. The Lancet 401 (10373): 281-293, 2023.

[12] Robert F. Service, art. cit. (vedi nota 3).